Un’accusa frequente che noi stessi italiani facciamo al nostro cinema è quella di essere poco attuale, di essere distaccato dalla realtà.
Paolo Budassi fa tutt’altro, anzi, va proprio a cercare l’attualità lì dove, trascorsa la parabola mediatica, l’attualità sembra dimenticare, rimuovere. L’attenzione del cortometraggio è del tutto incentrata sulla storia, o meglio su “le storie” che in una notte di terremoto hanno interrotto il loro raccontare. La protagonista ricostruisce il possibile futuro di quelle persone proprio come Budassi riporta l’attenzione sul presente di lei. Lei che proiettando nel futuro gli altri non riesce a far lo stesso con sé stessa. Vive nel ricordo e nella solitudine del ricordo e la scena più personale, più forte e significativa è proprio quella del sogno, l’unica scena che si discosta dal vero e proprio fluire dell’opera. A me è parsa come un’indice attraverso cui leggere tutto il resto, la chiave per aprire la stanza del personaggio. Provo a descriverla.
Il sonoro accompagna, con un crescendo di densità sonora, il crescendo di intensità emotiva: la protagonista sogna quella notte, il risveglio sotto le macerie, il montaggio molto frammentato restituisce i più piccoli particolari di dolore e sofferenza. Quando la densità e l’intensità sonora sono al culmine la protagonista si risveglia con un sussulto (bravissima l’attrice con la sua aria distaccata ma pregna di malcelata emotività , sopratutto in questa scena) e cerca quegli elementi vitali, rincorsi per tutto il cortometraggio, aria ed acqua, simboli di ciò che mancava in quella stanza crollata, e ora inseparabili compagni. Oggetti ne sono la bottiglietta d’acqua sempre presente, il vento del parco e il filo d’aria che in questa scena entra dalla finestra socchiusa.
Particolare attenzione è data ai colori di questa scena, il rosso ed il verde, anch’essi onnipresenti lungo tutta l’opera. Il rosso sembra rappresentare il ricordo, ciò che non si può dimenticare, o annullare. Rossi sono i dvd, rossi i suoi capelli, rossa la luce sul comodino accanto al letto, luogo del ricordo per eccellenza, rosso è l’accendino con cui quasi punisce sé stessa per aver ricordato ancora, o meglio per non aver ancora dimenticato. Il verde invece, rappresenta di suo la speranza di un nuovo inizio, la possibilità di ricominciare. Il parco è verde, verde è il treno con cui va verso il suo vecchio paese crollato, verde è la finestra da cui prende aria. Bellissima quindi è l’immagine di lei alzatasi dal letto rosso (ricordo) e piegatasi di fianco la finestra verde (speranza di andare avanti). Preso l’accendino, accesa e spenta la fiamma, stampa la sua impronta bollente sul braccio sinistro, quasi a marcarsi, a dire «Io ero sotto le macerie e non ne uscirò mai».
Il resto del corto racconta con una certa piacevole dose di imprevedibilità e sorpresa il progetto immaginato dalla protagonista, costruendo aspettativa e curiosità nello spettatore.
È indiscutibile che La parte che manca sia anche costruito per commuovere, si può quasi dire per “tirar giù una lacrima di consapevolezza” (o di colpevolezza collettiva?), ma tale aspetto non è esasperato, c’è, ma nella quantità che basta per condire il piatto e non per rovinarlo.
Forse aggiungere il montato finale di Leo non era così necessario.
Trailer http://www.youtube.com/watch?v=gbOpLIs68tY
Un’intervista al regista http://video.ilgazzettino.it/index.jsp?videoId=5760§ionId=16&t=l-aquila-rinascere-dalle-macerie-in-la-parte-che-manca