Una mescola di umori, ricordi, affetti riempie quest’opera. Più che un documentario è il tentativo mancato di fare un film, ma il fallimento è costruzione, l’imperfezione è il motivo per cui “la vita è molto più bella del cinema”, l’essere limitati rende più umani.
Due amici (il regista Mario Balsamo e il suo amico Guido Gabrielli) si prendono la loro rivincita sulla perfezione assoluta di James Bond e sulla nudità più sincera: la malattia. La loro amicizia, il sostegno reciproco è più forte di ogni sfida, quasi forte quanto la natura che “se ne frega” dell’uomo. Ma l’uomo pazientemente estirpa, guarisce, toglie via le erbacce come i malumori e si costruisce il proprio viottolo di sassi, la propria vita, sporcandosi le mani.
Questo documentario spingendosi verso dimensioni più cinematografiche non fa altro che risultare più reale, più sincero, quasi che nel falsificare svelasse le sue bugie.
Si articola su due dimensioni differenti: da una parte il movimento, la ricerca di James Bond – Sean Connery, dall’altra la staticità più riflessiva della spiaggia di Sabaudia, il posto dove “tutto è più sereno” e dove tutto “sembra possibile” forse perché è il luogo del ricordo e delle domande, del passato e del futuro, quasi che, restringendosi lo spazio, il tempo diventasse un unico continuo.
Qui tirano fuori la tenda di tanti anni fa, dei loro viaggi europei, giocano al fazzoletto, al mimo, sembrano insomma i giovani di quei viaggi, in ogni loro gesto. Ma entrambi hanno l’aspetto consapevole, adulto, portano addosso i segni delle loro sofferenze e vederli entrare insieme, abbracciati in quel grande mare buono, dona una delle immagini più forti che il cinema possa offrire. Amicizia, vita, sofferenza, speranza: tutte insieme.
I primi piani, i dialoghi rilassati, pacati, pian piano svestono i loro picareschi abiti da Bond, e gli spazi della caotica Roma, della affollata Perugia si restringono sempre più, si fanno più intimi: la pineta con i vecchi amici, la casa materna, la stanza di Mario, la “stanza costruita per un figlio ma lentamente personalizzata e fatta propria”, un’ideale cui si sovrappone il personale. Come il mito James Bond cui si sovrappone l’uomo Sean Connery, che finalmente raggiunto al telefono confessa di avere anche lui bisogno di controlli medici.
La maggior parte delle recensioni e dei commenti fatti a questo film si incentrano tutte sul tema della malattia, come fosse l’unico trattato. È certo il collante dell’opera, ma credo invece che il punto di vista da cui tutto si possa mettere a fuoco sia il confine tra realtà e mito, consapevolezza e sogno, sincerità e finzione, tutto sommato tra documentario e film.
Cosa far vedere? Cosa nascondere? Quanto perfetto può essere un uomo? Quanto profondo può essere lo sguardo della macchina da presa? In che rapporto sono gli uomini ed il rappresentabile?
Noi non siamo come James Bond, nessuno può esserlo e nemmeno può più illudersi di poterlo essere.
Questo film, senza volerlo, insegna. Agli spettatori mostra come ogni uomo possa essere invincibile a modo suo. Ad ogni regista indica come un film per essere sincero e forte non debba tenere nulla di nascosto.
Vien voglia di vedere questo film!
Sei molto bravo!
Ti ringrazio molto!